Perché ci mettiamo sulla difensiva?
Sembrerà strano sentirselo dire, proprio in questo momento che magari stiamo prendendo un the coi biscotti o cerchiamo di sedurre una ragazza recalcitrante, ma noi, l’essere umano, siamo il prodotto di milioni di anni di evoluzione.
Noi, l’essere umano contemporaneo, siamo il modello più perfezionato di intelligenza mai visto sul pianeta e, a quanto ne sappiamo, di una considerevole fetta dell’universo conosciuto.
Questo fa sì che nel nostro dna siano presenti, per la stragrande maggioranza in modo nascosti alla nostra percezione cosciente, gli eventi e i traumi che hanno caratterizzato il divenire delle cose dai primordi ad oggi.
Il nostro cervello in particolare, si è modificato in base a tutte le paure, alle speranze e gli spaventi, ai piaceri, le bellezze ed alle infinite crudeltà che, da quando la nostra specie è scesa dagli alberi per dirla con Darwin, l’essere umano ha dovuto incontrare e metabolizzare.
In poche parole, ciò che siamo fisicamente, ciò che pensiamo e che percepiamo sia energeticamente che emotivamente, scontano questa lunghissima fase di preparazione e di assestamento a ciò che l’uomo è oggi.
Dove andrà l’evoluzione nel futuro, che direzione prenderemo come specie e, sopratutto, se esisterà ancora questo esperimento chiamato essere umano, non ci è dato di sapere, ma questo è un altro discorso.
La struttura psicologica
Per vivere nel mondo ed affrontare le sue vicissitudini il nostro cervello ha sviluppato un processo difensivo di costruzione di barriere verso l’esterno, una specie di fortificazione da cui osservare gli altri e valutare cosa succede.
Questa fortificazione è basata fondamentalmente sulla paura di essere attaccati e feriti.
Dato che l’immagine che abbiamo di noi stessi è una collezione di cose vissute, di esperienze, di insegnamenti e della cultura dell’epoca in cui viviamo, questo è quello che intendiamo difendere così strenuamente.
Non siamo noi, è tutto quello che ci serve per sopravvivere nel mondo, è la struttura che ci identifica e ci permette di interagire ed avere identità sociale, è perfetta per vivere nel mondo ma non è quello che noi davvero siamo.
È uno strumento, non chi ne sta facendo uso ma pare che abbiamo fatto confusione al riguardo.
L’istinto di sopravvivenza è la priorità fisica di ogni forma vivente, che sia vegetale o animale.
Ogni forma vivente cerca disperatamente di scampare ai pericoli ed alle insicurezze insite nel vivere.
Probabilmente già nel periodo della gestazione nel ventre materno noi umani cominciamo a definire i nostri confini ed in un certo qual modo iniziamo ad aver la coscienza di proteggerli.
Ma col passar del tempo, questa naturale attitudine a sopravvivere, nonostante il diffuso benessere, lo sviluppo della scienza e della medicina che ha allungato l’aspettativa di vita, ha assunto dimensioni psicologiche elefantiache e si è amplificata al punto di esser diventata la nostra ragione ultima di vita.
Non solo cerchiamo di proteggere il nostro corpo dalla furia degli elementi, siamo arrivati al punto di dover difendere a spada tratta anche l’immagine che abbiamo di noi.
Il mondo è diventato una specie di enorme ring su cui ognuno, sia nel piccolo della nostra quotidianità che a livello di leader mondiali, cerca di affermare la propria personalità schiacciando quella altrui.
Essere sempre sulla difensiva
In questo contesto, vittime della situazione equivoca per cui ciò che usiamo per identificarci e muoverci nel mondo è diventato ciò che crediamo di essere, ognuno di noi cerca di salvaguardare ciò su cui ha costruito la sua immaginaria ragione di esistenza.
Ci siamo coperti di idee, di pareri ed ipotesi mutuate dall’esterno che se da un lato ci hanno protetto da ciò che di pericoloso poteva arrivare da fuori, dall’altro ci hanno imprigionato in un situazione psicologica asfittica che ci impedisce di essere felici.
Chiusi nella torre d’avorio di chi crediamo di essere e che incontrollata comanda le nostre vite, non sappiamo più nemmeno cosa sia la vita, quella vera, che fluisce in questo momento, noi solo ci brontoliamo continuamente sopra e ne rimaniamo separati.
Ma ahimè, stentiamo a rilassarci ed a smettere di proteggerci, perché senza quello che ci identifica non sapremmo più chi siamo e questo ci fa paura.
Siamo arrivati al paradosso che la maschera che usiamo ci è diventata impossibile da togliere e ci impedisce di respirare.
Il Metodo Magrin: la soluzione
Quello che ci ha costretto ad identificarci in questa dolorosa situazione altro non è che una perversa connessione tra pensiero e sensazione fisica.
Questa connessione viene chiamata per comodità “Loop”.
Il problema non è nella testa, non è il pensiero che ci fa soffrire, è la tensione fisica corrispondente che fa da carburante alla sensazione negativa.
I loop sono una serie di piccoli e grossi traumi che nella nostra vita, sopratutto in età infantile, abbiamo dovuto subire e che abbiamo nascosto tra le pieghe del nostro corpo.
Il problema è che per non sentire queste brutture le abbiamo sepolte nel nostro inconscio.
Magari ci han detto che eravamo sbagliati, che non era sano quello che sentivamo, magari che eravamo peccatori e non meritavamo di essere felici.
Ma pur nascondendoli da qualche parte, questi dolori repressi non sono scomparsi, nell’ombra ora agiscono nelle nostre vite facendoci provare tutta una serie di sensazioni dolorose.
Questa dinamica non va in una sola direzione, vale anche l’estratto contrario, che cioè una tensione fisica accenda un pensiero negativo innescando lo stesso sgradevole meccanismo di dare/avere sofferenza.
Come funziona il Metodo
Potrà apparire di una semplicità disarmante il modo con cui questi problemi possono, grazie al Metodo Magrin, essere eliminati completamente dalla nostra vita.
In effetti, una volta compresa la dinamica, lo è.
In estrema sintesi, la somma dei loop forma la nostra maschera.
Il Metodo insegna che a un dato pensiero negativa si va a scovare dove nel corpo si nasconde, tra gola, petto e pancia, i tre punti in cui generalmente si annidano le tensioni.
Una volta identificata, si osserva mutare la sensazione senza tregua, fino al suo totale dissolvimento, rimanendo nel contempo nella percezione del nostro corpo, cominciando nei piedi e nelle mani e quindi prendendone coscienza nella sua interezza.
Più ci siamo noi nel nostro corpo a vigilare, a godere dell’energia che lo pervade, più costringeremo i loop a sloggiare dalla nostra vita, perché se non ci siamo noi, di sicuro ci sono loro.
E, ad ogni loop tolto, toglieremo uno strato che ci fa soffrire e il benessere aumenterà in maniera esponenziale liberando spazio a chi siamo davvero, schiudendoci ad una dimensione che chiamiamo “stato senza mente”, uno spazio che ci permetterà, finalmente tolto il superfluo, di essere padroni della nostra vita.
Ci apriremo ad accogliere chi siamo, ci apriremo al silenzio, alla gioia, alla pace, alla soddisfazione di ciò che sta accadendo in questo preciso istante, dentro e fuori di noi.
Ci apriremo ad essere quello che siamo di natura, degli esseri meravigliosi.