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Meditazione: aiuta a vivere meglio?

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Chi non ha mai sentito echeggiare la lieta novella che la meditazione è la panacea di tutti i mali della mondo?

Ma cos’è davvero questa meditazione? Vediamo di fare un po’ di chiarezza.

Lo stereotipo comune è quello che, sedendosi con le gambe incrociate in tranquilla osservazione del moto incessante dei pensieri, in quattro e quattr’otto se ne trae immediato e imperituro profitto.

Detto e fatto, sembra davvero la soluzione a tutti i mali, ma chi si è inerpicato in questa inedita avventura ha davvero raggiunto i risultati sperati?

Di sicuro di primo acchito, iniziando tale pratica il neofita si è trovato probabilmente del tutto impreparato davanti ad una specie di vociare continuo da inferno dantesco, un caos senza precedenti che alberga nella nostra testolina, un labirinto di cui ahinoi non ci è stata fornita una mappa per uscirne indenni.

Cosa succede quando si inizia a meditare.

Come affrontare allora tale immane confusione?

La prima reazione della mente è quella di fuggire e moderando le pretese di pronta guarigione ma, se di costituzione sufficientemente scaltra, di certo proverà ad addomesticare questa nuova situazione e, come naturale sua dinamica, inventarsi una scorciatoia per ovviare a questa scabrosa situazione.

In poche parole, la mente stessa che si vorrebbe osservare si ricicla da problema a immediata soluzione, illudendo il povero principiante di poter velocemente imbrigliare la situazione sperimentando magicamente una effimera tranquillità.

Ma, dato che non è consigliabile usare lo strumento che ha creato il problema per risolverlo, accade che un pensiero più forte si fa carico della soluzione approntando un escamotage che altro non è che un ennesimo ingannano e si ricade nello stesso vizietto di immaginarsi una pace ed un silenzio non reali e di assai breve durata.

Invece di ripulire la stanza si finisce per accumulare di nuovo lo sporco sotto al tappeto.

Effetti del tentativo di meditare.

Per questo dopo non tanto tempo si perde l’iniziale interesse nella pratica, ci si inizia a sentire pian piano appesantiti e meno brillanti, una sorda irritazione mista ad irrequietezza prende il posto della iniziale fittizia tranquillità.

Ci si irrigidisce nel tentativo di fermare il flusso di pensieri e, tornati all’originale punto di partenza, non di rado si finisce per mandare tutto all’aria perché lo sforzo di cercare di domare gli eventi ha sortito in realtà solo una rabbia e frustrazione ancor più profonde.

Quindi, vittime di ancor più grevi dinamiche mentali, appaiono due possibilità, ahimè entrambe deludenti: o ci si arrocca seriosamente disperati nel perseguire una pratica che, pur non portandoci da nessuna parte, ci dà il contentino dell’illusione di essere dei martiri in missione per conto di una Entità Suprema o si getta la spugna, si butta tutto all’aria e ci si avventura in altre e più esotiche tecniche.

Nel disperato tentativo di uscirne, si cambia teatrino continuando però a mancare il nocciolo della questione.

La trappola del ricercatore spirituale.

L’equivoco di base in cui cadono i cosiddetti ricercatori spirituali sta nella presunta natura delle problematiche che ci affliggono e che non appartengono come si crede esclusivamente alla sfera mentale ma sono piuttosto una concatenazione di incontrollate reazioni tra corpo e mente.

Immancabilmente, ad ogni pensiero fa da carburante una precisa sensazione fisica, quasi sempre racchiusa nella gola, nel petto o nella pancia che da tempo immemorabile abbiamo nascosto alla nostra attenzione tanto la percepiamo dolorosa, che si muta appunto in pensieri negativi al nostro interno creando altrettanto spiacevoli situazioni al di fuori di noi.

E, allo stesso modo, in una infernale dinamica senza fine, un certo tipo di pensieri accende nel corpo una serie di fastidiose sensazioni sepolte, dando vita ad una morbosa relazione tra le due polarità.

Le differenze col Metodo Magrin

La mia visione, del tutto lontana da pratiche mediche, spirituali o psicologiche, è molto pragmatica e si fonda sulla presa di coscienza della sensazione fisica che accompagna come un’ombra il problema di cui si sta soffrendo, collegamento che io chiamo loop, farsene carico osservando senza tregua la sua natura fino alla inevitabile dissoluzione di pensiero e sensazione.

Al di là di questa dinamica, oltre la connessione morbosa tra tensione fisica e pensiero, al di là del dolore che evitiamo di sentire, sta uno stato che definisco “stato senza mente” che è il nostro stato originario e che attuando il Metodo Magrin è possibile sperimentare.

Non serve accapigliarsi con la mente, lottare coi pensieri o analizzare le loro dinamiche fino allo sfinimento, è una inutile perdita di tempo prezioso, non serve inseguire la verità di un Guru o sedersi per anni nella posizione del loto per cercare di meditare isolati dal mondo in attesa di un miracolo che mai arriva.

La vita scorre veloce e sarebbe un peccato lasciarsela scivolare tra le dita, è quindi necessario comprendere la natura dei loop ed agire di conseguenza.

Il Metodo Magrin è di una semplicità disarmante ed è comprensibile ed attuabile anche da un bambino.

Testare il Metodo Magrin

Se nutri dei dubbi o credi che io stia farneticando, ti invito a tuffarti nei miei libri e nell’aria n finito materiale in video e contributi che offro gratuitamente e che ti illustro prendendoti letteralmente per mano e accompagnandoti nel Metodo Magrin.

Ti prego quindi di dirmi cosa ne pensi. In una parola ti sfido a smentire quello che sto con forza e certezza affermando, forte delle migliaia di persone che ho visto rinascere a nuova vita grazie al Metodo e verificare se conviene ancora perdere tempo in tecniche di meditazione, yoga o Mindfulness oppure andare dritti al sodo ed affrontare ciò che da tempo evitiamo e che abbiamo inconsapevolmente nascosto tra le pieghe del nostro corpo.

Il Metodo Magrin ti da l’imperdibile ed unica occasione di toccare con mano lo Stato Senza Mente e di veder completamente trasformata la tua vita.

A te la scelta.

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Da molte parti si tende a confondere il fare con il comprendere, l’agire compulsivo ha preso il posto dell’afferrare la situazione.

In molte situazioni un malessere psicologico, di qualsiasi tipo possa essere, non viene indagato alla radice ma trattato con variegate metodologie con l’obbiettivo di essere messo, nel migliore dei casi, in condizione di non nuocere o almeno di attutirne il fastidio.